LA STORIA
In corrispondenza delle antiche linee di
riva che incidono le propaggini dei monti
Nebrodi intorno al territorio del comune di
S.Agata Militello, si riscontrano due
insediamenti: S.Teodoro e Scordoni,
risalenti al Paleolitico Superiore.
In questi insediamenti, si presume che la
vita organizzata si sia succeduta quasi
ininterrottamente fino alla media età del
bronzo (1400-1300 a.c.), quando per via
delle continue incursioni da parte di
popolazione bellicose provenienti dalle
coste della penisola, si staccarono da essi
alcuni nuclei, che andarono a fondare nuovi
villaggi come quelli di Monte Scurzi e
Priola, quest’ultimo in territorio
santagatese.
Il villaggio indigeno, sito in contrada
Priola è rimasto in vita fin oltre il III
secolo a.c.; la preoccupazione principale di
tale villaggio era la sicurezza, come
dimostrato dalla sua disagevole posizione.
A Scurzi, sono stati effettuati saggi di
scavo, che hanno portato alla luce
nell’ambito del villaggio ceramiche,
fuseruole e fittili che fanno ritenere la
pratica della filatura e tessitura una voce
importante per l’economia di quelle genti;
quest’insediamento si estinse intorno al V
secolo a.c.
Numerose sono le memorie di ritrovamenti di
reperti romani.
Con il disfacimento dell’impero romano
questo territorio, pertinente a latifondi,
dove continua ad esistere una frequentazione
a scopi agricoli, era interessato per la sua
vicinanza alla costa e al principale
percorso costiero, dalle vicende militari ed
economiche che porteranno ad una progressiva
aggregazione in casali internati e
all’affermarsi dell’elemento greco-bizantino.
La conquista normanna della Sicilia, dalle
prime incursioni al definitivo
assoggettamento, durò circa trent’anni
(1060-1091). All’arrivo normanno gli
abitanti di queste terre si sentirono
liberati dall’oppressione araba.
“La storia di Militello Rosmarino è la
storia dei grandi eventi e di autentici
personaggi, di un popolo laborioso, colto,
timorato di Dio. Una storia lenta, ma
graduale che nella sottigliezza delle
ricerche e nell’accettazione dei molti
amichevoli consigli, ha un suo pensiero che
certamente è di derivazione classica” [1].
Sono due, secondo l’interpretazione del
Dizionario Topografico della Sicilia del
Vito Amico, le possibili spiegazioni
etimologiche di Militello.
La prima è mitologica e si riferisce al
carattere forte e bellicoso degli abitanti.
La radice etimologica “Militum tellus”, si
riferisce infatti, ad un agglomerato urbano
costruito dai soldati che, dopo la morte di
Archimede, fuggiti da Siracusa, si
stanziarono nel territorio collinoso al di
sopra di quella che in seguito, diventerà
S.Agata.
La seconda ipotesi, vuole che Militello
prenda il suo nome dalla ricca e fiorente
produzione di miele, propria del territorio
(melis tellus).
Tuttavia, è possibile rintracciare anche una
terza interpretazione, che fa specifico
riferimento alla conquista della Sicilia da
parte dei Normanni, i quali erano già
stanziati in Calabria. Venuti in Sicilia,
questi ultimi, vollero, probabilmente,
ripetere i toponimi delle due città
calabresi a loro più care, cioè Mileto e
S.Marco di Calabria, finendo per nominare
due delle città del messinese
rispettivamente S.Marco d’Alunzio e
Miletellum (piccola Mileto).
Rocco Pirri, nella sua opera “Sicilia Sacra”
nomina le “civitates et castella”, assegnate
dal Gran Conte Ruggero tra il 1081 ed il
1082, alla Diocesi di Troina; fra di esse
individua anche Miletum.
Nel 1197-98, nella “Sicilia Sacra” della
Diocesi di Messina, si elencano le terre ad
essa appartenenti, ancora una volta compare
Miletum.
Dalle notizie riportate, notiamo come
Militello sia sempre nominata accanto a
S.Marco e come nel 1082 e nel 1198, fu
chiamata Mileto e nel 1176, Militello. La
citazione di Militello, compare anche negli
Atti della Regia Cancelleria Aragonese.
Sono scarse le notizie che abbiamo dei primi
secoli della vita di Militello, per la
mancanza di documenti.
Dal “Magnun Capibreve” di Giovan Luca
Barberi, apprendiamo che Militello, al tempo
dei Normanni e degli Svevi, fu sicuramente
terra demaniale, vale a dire sotto la
diretta dipendenza della Corona.
Sotto gli Aragonesi, Militello divenne terra
feudale ed il primo ad esserne investito, fu
il regio milite Gania Sancio del Grua.
Costui n’ebbe la signoria, ma essendosi reso
traditore, gli fu confiscato ogni bene.
Militello passò, intorno al 1320, a Sancio
d’Aragona figlio illegittimo del re Federico
II. Dalle nozze di quest’ultimo, nacquero
due figli, ad uno dei quali, Federico, conte
di Cammarata, furono confermati i beni
paterni e fu rinnovato il baronato di
Militello e di S.Marco, nel 1335. Sposò
Giovanna d’Auria che diede alla luce due
figli, Sanciolo e Vinciguerra.
Il primo di questi, sposò Lucia Palizzi da
cui nacque Matteo che morì senza prole,
motivo per questo, gli successe il fratello
Vinciguerra (1364).
Vinciguerra d’Aragona, certamente una delle
figure più interessanti del medioevo
siciliano, fu gran sostenitore di Federico
III che ebbe a dargli molta parte nella
direzione del Regno. Nel 1371 gli fu
confermata la terra col castello di
Militello.
Nel governo di Militello, successe a
Vinciguerra il figlio Federico, maestro
razionale, signore di S.Marco e dei suoi
casali, Longi e S.Fratello e capitano a vita
d’Alcara. Fu tra i baroni rivoltosi al tempo
del re Martino I e per questo gli furono
confiscati i beni, ma pare che con un atto
di clemenza, il 10 ottobre 1396, Martino I
gli avesse riconfermato la concessione di
S.Fratello, Mirto e Alcara, anche se alcune
fonti (Amico, De Spuches) concordarono
nell’affermare che Federico, allontanato
dalla sua terra, morì da esule.
Le fonti archivistiche documentano come nel
settembre del 1400, Martino I, volendo porre
fine allo stato di rivolta dei suoi sudditi
e premiare i servigi resi allo stato, abbia
voluto concedere la terra di Militello a
Bernardo di Caprera, il quale, con
l’approvazione regia, lo scambiò con Enrico
Rosso –Gran Cancelliere del Regno-
ricevendone il feudo di Monterosso.
La famiglia Rosso dei Conti d’Aidone,
discendente da Ugone Rosso, figlio di un’Altavilla,
signoreggiò a Militello per tutto il secolo
XV, con il titolo di baronato, avendo la
potestà di “mero e misto impero”
(giurisdizione civile e criminale) e tutti i
diritti reali ottenuti da Guglielmo, nipote
di Damiano Rosso, per 60 once nell’aprile
del 1442.
Pietro Ponzio, figlio di Guglielmo, fu
investito nel 1455 della baronia di
Militello, Cerami e Pardo, conservandone i
diritti fino alla morte.
Il figlio Enrico gli successe ottenendo
l’investitura il 18 aprile 1505; costui
capitano d’armi, per varie città del Regno
nell’anno1480-1484 e1499, a titolo di
reggente per conto del padre, risiedeva in
quel tempo a Militello e a lui è dovuto un
fervore amministrativo che trova nella
promozione edilizia e artistica,
significativo e imprevisto avvio verso un
nuovo processo di sviluppo urbanistico, la
sua più esplicita manifestazione.
Nel 1508, alla morte d’Enrico, fu investito
della baronia di Militello il figlio
Girolamo Rosso, e a questi successe, nel
1515, Vincenzo Girolamo, che morì senza
discendenza. Si concludeva così dopo oltre
un secolo la signoria di casa Rosso a
Militello.
Nel 1536 il messinese Antonio La Rocca,
acquistò il titolo di barone e prese
possesso delle terre e del castello di
Militello per sé ed i suoi discendenti;
qualche anno dopo acquisì il “mero e misto
imperio”. Baronia, terre e castello
passarono a Giovanni del Carretto conte di
Racalmuto, sposo della figlia di Vincenzo
Girolamo Rosso, rimasta vedova. Il conte,
nel nome della moglie, riscatta da Filippo
La Rocca la baronia, la terra e il castello
di Militello, donando il titolo e i beni,
senza mai averne avuto investitura, a
Girolamo Gallego e Rosso nel 1573, nato
dall’unione di Giovanni Gallego e Angela
Rosso.
Figlio di don Girolamo e di donna Margherita
Requisens, Vincenzo Gallego fu investito nel
1600 della signoria di Militello. A questi,
promotore assieme alla madre
dell’istituzione del convento domenicano
(1615), si rivolsero i naturali della Marina
per chiedere protezione dai frequenti
attacchi pirateschi, dopo che, nel 1580,
otto galere di corsari erano sbarcate sulla
spiaggia e dopo avere depredato ogni cosa
avevano deportato molti abitanti, ridotti in
schiavitù, in Africa.
Fu Luigi, nato da don Vincenzo e donna
Francesca Giambruno, succeduto al padre, ad
ottenere nel 1628, il “mero e misto
imperio”e la facoltà di costruire un
castello alla Marina. Questo, che fu
costruito sulle torri già esistenti, creò le
condizioni per far nascere e accrescere
rapidamente una realtà insediativa (S.Agata)
presso la costa, ormai più sicura e dunque
interessata da attività produttive e
itinerari commerciali. Presso la torre
esistevano un caricatoio, una falegnameria e
alcune case dei pescatori.
Ingegneri e architetti militari offrirono un
quadro della situazione delle torri costiere
alla fine del XVI secolo e sollecitarono il
rafforzamento della torre, facendo comparire
per la prima volta, il toponimo sulle
antiche carte.
Tuttavia i Gallego mostrarono d’avere
prospettive ancora più ampie. Nell’arco del
XVII secolo, Vincenzo e Luigi Gallego
chiesero e ottennero la licentia aedificandi
per costruire un gran palazzo accanto alle
torri, ottenendo per la famiglia il titolo
di “marchesi di S.Agata” e poi di principi
(1658). Luigi ottenne ancora la licentia
populandi da re Filippo IV (1657) per
promuovere nello stesso sito la fondazione
di un villaggio, vero e proprio insediamento
urbano su cui si baserà il futuro sviluppo
della cittadina.
Le informazioni tratte dai “Riveli”
attestano una maggiore agiatezza, dovuta al
buon esito dell’allevamento del baco da seta
e della produzione di olio e vino.
L’economia feudale si fondava ancora sui
diritti, sulle proprietà, su gabelle, censi,
dogane, dazi.
Luigi, muore il 19 settembre 1662, un giorno
prima della morte prematura di suo figlio
Vincenzo, nato dall’unione con Anna
Spadafora. Quindi, a Luigi, succede il
fratello Girolamo, secondo principe di
Militello, nel 1664, che morì senza eredi.
Lo stato di Militello, passò, dunque, al
nipote Vincenzo (1678). A lui successe, nel
1693, il fratello Gaetano, che fu investito
quarto principe di Militello e marchese di
S.Agata.
Nel 1722, lo Stato di Militello, passò a
Giuseppe, quinto principe di Militello e
marchese di S.Agata, per poi passare al
figlio Francesco Paolo (1755), ed ancora al
figlio di quest’ultimo, Giuseppe (1777).
L’ultimo principe di Militello, fu Don
Giuseppe Gallego Naselli, che nel 1815 era
stato coinvolto in processi politici,
accusato di appartenere alla Carboneria.
Nel 1821, per far fronte ai suoi debiti,
dovette cedere tutti i suoi feudi ed anche
il Castello al principe Don Giuseppe Lanza
Branciforte di Trabia e di Butera, per un
vitalizio. Privato ormai di ogni suo
possedimento, dovette lasciare la sua città
e trasferirsi a Napoli, dove morì dopo pochi
mesi.
Dall’esame dei Riveli delle terre feudali,
esistenti presso l’Archivio di Stato di
Palermo, datati 1584, possiamo avere un
quadro abbastanza chiaro della situazione
urbanistica di Militello. Essi documentano,
inoltre che l’attività agricola era molto
diffusa, presso il litorale e le colline
adiacenti (vigneti a S.E.A.T.O. , seminativi
a S.I.P.R.A. e Serrabernardo).
Dai Riveli di Militello del 1811, si
desumono gli antichi diritti che la
popolazione, esercitò sino alla fine della
feudalità, e che poi, con la liquidazione
del regime feudale, non furono più
riconosciuti dalla nuova classe emergente.
Da tali verbali, si desume che Militello
possedeva un castello con carceri e
magazzini; i documenti, attestano dunque, in
maniera inequivocabile dell’esistenza di un
castello, di cui, però, non vi sono notizie
certe sulla data di fondazione, anche se
probabilmente si può farlo risalire al
periodo normanno.
Gia nel 1787 e nel 1792, erano state emanate
delle leggi che prevedevano il censimento
delle terre demaniali e la loro concessione
in enfiteusi alle classi meno abbienti.
Con la Costituzione liberale del 1812,
abolita la feudalità, pur avendo ceduto
spontaneamente questi diritti, in realtà, i
feudatari ancora ne usufruivano.
Fu nel 1835 che si cercò di risolvere il
problema demaniale; a tal fine, Ferdinando
II, nominò, dei Visitatori generali, per
indagare sulle condizioni agricole della
Sicilia e, nel 1841, venne emanato un altro
importante decreto, con il quale veniva
ordinato agli Intendenti di collaborare
attivamente al lavoro dei Visitatori.
Nacque da ciò una lunga serie di liti e di
contrasti, in tutti i comuni siciliani, che
sboccò, inevitabilmente nella sistematica
appropriazione abusiva dei terreni comunali,
da parte della nascente borghesia.
La popolazione di Militello crebbe parecchio
in questi anni e dal “Giornale di Statistica
di Sicilia” N° 22 del dicembre 1853, edito a
Palermo, apprendiamo che nel 1798, Militello
contava 3520 anime, nel 1831 ne aveva 3527 e
nel 1847, 4003 (di cui 2800 maschi e 1203
femmine).
Nel 1855, avvenne la separazione di S.Agata
da Militello, che la rese autonoma.
Accresciutasi notevolmente ed ormai in grado
di esprimersi in un’identità municipale,
S.Agata inoltrò, nel 1830, un’istanza per
l’autonomia al Governo di Napoli. Ancora
mancava però il numero necessario di
abitanti per essere innalzata a comune,
quindi la richiesta fu respinta ed il
Governo concesse alla borgata di S.Agata
soltanto un ufficio per ricevere gli atti
dello Stato Civile e successivamente nel
1838, il funzionario che badava allo stato
civile fu incaricato di vigilare anche
sull’annona.
Nel 1839, pur mancando i requisiti numerici
per staccarsi da Militello, il sindaco, che
aveva possedimenti nella frazione, con abile
diplomazia, fece varare al corpo comunale
del tempo una delibera con la quale si
approva il trasferimento delle carceri
mandamentali e degli uffici comunali da
Militello a S.Agata.
Col trasferimento degli uffici comunali a
S.Agata vennero rivoluzionate anche le mappe
geografiche, facendo riferimento alla
frazione come: S. Agata Militello Valle di
Messina Distretto di Patti Circondario
S.Agata Militello.
Militello non subì silenziosamente il
sopruso e passò immediatamente all’aperta
ribellione, inviando al parlamento generale
del 1848, un memoriale, in cui spiegava le
sue ragioni e col quale chiedeva che fosse
fatta giustizia.
Anche il vicino comune di Alcara, che veniva
a trovarsi danneggiato dalla maggiore
distanza da percorrere per arrivare a
S.Agata, per il disbrigo di qualsiasi
documento, inviò una petizione al
parlamento.
Col passare degli anni, la situazione di
Militello, peggiorava sempre di più.
Mentre la risorsa prima di S.Agata era il
commercio, col trasferimento degli uffici
comunali, venne a morire l’unica risorsa di
Militello, l’attività forense.
Già nel 1840, le rendite del comune venivano
investite nella Marina e le vie
intercomunali di Militello e gli edifici
pubblici, cominciarono inesorabilmente a
cadere in rovina.
Le autorità municipali di Militello,
costrette ad esercitare lontane dal loro
paese, cominciarono ad integrarsi nella
nuova realtà e a staccarsi lentamente, ma
progressivamente, dal luogo d’origine.
La separazione effettiva tra Militello e
S.Agata, dunque, era oramai sancita in modo
definitivo, quella legale, avverrà solo nel
1855.
L’agrimensore Giuseppe Manso ebbe l’incarico
della spartizione del territorio tra i due
comuni.
S.Agata si era ormai staccata
definitivamente da Militello; cominciava per
il nuovo comune una nuova pagina della
storia.
L’economia prevalentemente pastorale ed
agricola tipica dei paesi nebroidei, ha
trovato nel raduno fieristico santagatese
una delle più favorevoli occasioni di
mercato.
Nella fascia costiera, in cui erano
possibili più favorevoli comunicazioni e su
cui gravitava una serie di piccoli centri di
popolazione che rendevano utile la pratica
della marcatura girovaga, l’attuazione di
una fiera così consistente, come quella di
S.Agata, assicurava la possibilità di
incontro per la vendita dei capi di bestiame
e l’acquisto dei prodotti artigianali e di
“consumo” agli abitanti di una parte
dell’Isola che viveva in singolare
isolamento.
Pur esistendo già da qualche tempo un
appuntamento per mercanti e compratori
presso il castello, nel 1700 Gaetano
Gallego, ottenne il privilegio di istituire
una fiera a S.Agata..
Tale appuntamento divenne sempre più un
importante momento di scambio, confermando
la crescente importanza economica della
costa rispetto ai centri feudali, che invece
risentivano di un progressivo impoverimento.
Infatti a S.Agata, tenevano convegno annuale
i trafficanti, e la favorevole posizione
assicurò una sempre maggiore fortuna a tale
fiera. Per altro, una serie di documenti
facenti parte dei titoli di casa Gallego
insiste sull’antichità e l’importanza di
questo mercato, sottolineando come “sempre,
ab antico et da chi non vi è memoria d’huomo
in contrario, una fera nella Marina di
S.Agata, cossi celebre per tutto questo
Regno”[2]..
I Baroni Gallego avevano assunto la signoria
di Militello nel 1573; Girolamo, figlio di
don Giovanni Gallego nato da un cavaliere
aragonese e da una principessa azteca e
castellano del Salvatore a Messina, aveva
sposato donna Angela Rosso, discendente di
un casato che dal tempo dei Martini aveva
posseduto la cittadina. Nel 1600 titolo e
beni passarono al figlio Vincenzo, il quale
nell’aprile 1620 ottenne dalla Regia Curia
il mero e misto imperio con facoltà di
fabbricare un castello presso le torri
“vocatis di S.Agata distantibus a terra
Militelli circa quattuor mille passus , quam
aedi ficatione intendit proseguere illaque
parentibus et turribus munire pro offensione
et defensione ad inimicis nostrae sanctae
fidei”[3].
Dovettero essere frequenti e feroci in quel
tempo le incursioni piratesche, tanto da
esigere una maggiore difesa della costa.
Quando nel 1629 il duca Alburquerque firmava
la lettera esecutoria della concessione,
Gallego, stava già costruendo la fortezza
nella Marina.
Gallego, ricevuto il titolo di marchese,
ottenne nell’anno successivo per un
rescritto di re Filippo IV la “pia facoltà
di popolare S.Agata”.
La fondazione di un casale sulla costa
lascia pensare che andava sensibilmente
mutando la realtà socioeconomica del
territorio; nello stesso centro di
Militello, privato dei villani che andarono
ad abitare il nuovo villaggio, il numero
degli abitanti si accresceva rispetto al
secolo precedente.
Le campagne, generalmente coltivate ad ulivi
e “lavorativi”, vennero dal secolo XVI ad
ospitare sopratutto “vigni celsi et arbori
domestici”[4], testimoniando un deciso
intervento di riconversione delle colture ,
che fu alla base dell’arricchimento di un
agiata classe di proprietari terrieri.
La produzione della seta nei vari centri fu
notevole e consistente fonte di guadagno per
quasi tutta la popolazione, incoraggiata
dall’incremento della domanda che ebbe una
punta massima intorno l’anno 1660.
La maggiore produzione di beni, che dovette
influire sull’accresciuto tenore di vita, la
progressiva risoluzione del problema della
difesa costiera (nei documenti di fine
secolo non si accenna più il problema della
pirateria) e l’’esistenza di osterie e
fondaci nella costa, che assecondavano una
maggiore mobilità ai fini commerciali furono
i motivi per l’incremento delle fiere che
fin da quel tempo poterono dirsi giustamente
“magnifiche”.
Don Gaetano Gallego Ventimiglia , che nel
1692 aveva ricevuto titolo e investitura di
principe di Militello e marchese di S.Agata
, dovette chiedere intorno alla fine del
secolo XVII un riconoscimento della fiera,
da cui privilegio avevano sempre goduto i
suoi succoncessori. In quegli anni, gli era
stata intentata causa da don Diego Joppolo
Ventimiglia, duca di Sinagra e conte di
Naso; quest’ultimo pretendeva, infatti, che
si abolisse la fiera poiché coincideva
all’incirca col mercato di Capo d’Orlando ,
avuto per concessione nel 1697 .
Gli atti relativi alle petizioni rivolte al
tribunale del Real Patrimonio e le
rispettive concessioni, costituiscono una
quantità di dati storici: il primo di esso è
un privilegio del 28 luglio 1700 col quale
al principe veniva riconosciuto il diritto
di fare la fiera, con le modifiche apportate
dagli ottenimenti del conte di Naso; il
secondo, datato 30 marzo 1703, è la supplica
di venire ad una precisa definizione delle
date, accolta dal viceré e sufficiente a
porre fine alla controversia.
Essendosi aspramente contestato il “possesso
che ill.mo principe è i suoi antecessori ha
e hanno avuto”, il 16 dicembre 1699 la
sentenza del tribunale si pronunziò per la
“proibitione di detta fiera”[5], riservando
al principe Gallego la facoltà di appellarsi
ed avanzare la nuova richiesta di
concessione.
Don Gaetano Gallego, nella speranza di
dimostrare con tutti i mezzi “l’immemorabile
possessione e concessione del privilegio”,
fece istanza nell’anno successivo, perché
venisse confermato il suo diritto come era
stato per il passato.
Nel documento, il Procuratore Don Filippo Di
Paola, fa presente come il principe ed i
suoi predecessori, “hanno sempre, ab antiquo
ed da che non v’è memoria d’homo in
contrario, fatto una fera nella Marina di
S.Agata proprio di detto illustre principe
con le franchelle della Doghana o gabelle
baronali spettanti ad esso sig.Principe il
giorno di 24 ottobre d’ogni anno, quale fera
intende l’esponente haversi fatto e così
doversi fare l’avvenire”. Contro di esso,
aveva tentato giudizio il conte di Naso,
“pretendendo di fare proibire la detta fera
sotto vano pretesto che egli habiy avuto una
simile concessione di fera…nella Marina di
Capo d’Orlando per li giorni 21, 22 e 23 di
ottobre d’ogni anno, benché per molti e
molti anni,non have avuto esecuzione”. Gli
stessi testimoni e vassalli del conte di
Naso, pur asserendo che quel mercato
s’avesse fatto nella cittadina del Capo,
tuttavia, “non hanno potuto negare che la
fera di S. Agatha, si abbi sempre continuato
con grande concorso di gente, senza
contraddizione alcuna”.
Il nobile nasitano, faceva ricorso al fatto
che il Gallego non possedesse al momento,
alcun documento e rilevava l’incompatibilità
tra le due fiere distanti appena dieci
miglia e svolte con reciproco danno, quasi
contemporaneamente.
Nell’atto, il principe di Militello, sicuro
dell’ereditato possesso della licenza,
faceva domanda perché gli venisse confermato
il diritto alla fiera, da farsi a partire
dal 24 ottobre, non avanzando, comunque, una
richiesta.
Il conte Ioppolo, allora in causa pure per
analogo motivo, con don Corrado Lanza, duca
di Brolo e Barone di Ficarra (la fiera
presso quel castello si svolgeva la fine di
ottobre), chiese ai giurati che non venisse
concesso quanto richiesto dal Gallego. Forte
della favorevole sentenza della precedente
causa, egli pretese, infatti, che in nessun
modo, si dovesse concedere licenza nel mese
di ottobre né al principe di Militello, né
al nobile di Brolo. Fornendo delle sue
indicazioni, egli suggerì che per la prima,
si ammettesse di fare una fiera settimanale
“incipiendo a die vigesimo primo settembris
et quo ad dom.ill. ducem Broli in eius
Castri Broli per dies quatuor incipiendo a
die vigesimo nono”. Il testo che sortì
recitava “concediamo licenza
all’illustrissimo principe che possa fare la
fera nella Marina di S. Agatha per il
termine di giorni sei, incominciando dalli
21 sett. di ogni anno per tutti li ventisei
(nella) forma come pria per il passato ha
fatto….con tutte quelle potestà, autorità,
preminenze, lucri, emolumenti e franchezze,
immunità, esenzioni della Doghana baronale,
come in tutte quelle altre gabelle che per
il passato have goduto e soluto godere e
concesso e potuto concedere alli mercanti
che hanno venuto in detta fera….”, non
intendendosi accordata la franchigia da
alcune tasse ( donativi regi e regie
segrezie), ma avendo la protezione degli
ufficiali del Regno.
A distanza di tre anni, durante i quali la
fiera della Marina subì una notevole
flessione, don Gaetano Gallego chiese la
revoca della sentenza “conoscendo
dall’esperienza che la fera che non ci
riesce e resti inutile, (perché) in detto
tempo per essere le persone applicate al
racconto del musto e per il caldo che fa e
la malaere , non vengono né mercadanti né
compratori”.
“Per non perdersi detta fera cossì celebre”
egli chiese “licenza di potere fare la fera
nella Marina di S. Agahta, come ha fatto per
il passato….dalli sedici novembre
d’ogn’anno, sino alli ventiquattro del
medesimo e delli stesso modo e maniera che
s’ha per il passato costumato con facoltà e
potestà di poterla fare bandizzare per tutto
il Regno, come sempre s’ha fatto, affinché
venghi alla notizia d’ogni uno”.
Il tribunale del regno, confermò le
concessione delle franchigie baronali “ et
immunità delle gabelle che si concedono et
hanno concesso in altre fere di questo
regno, e nell’istessa forma e maniera che si
pratica in altre città e terre di questo
regno dove vi è una fera annuale, nella cui
conformità permettiamo che l’illustre
supplicato (il principe Gallego) e li suoi
ufficiali, la possano far pubblicare e
bandizzare nelle città e terre convicine,
affichè ne tengano la dovuta nota, e li
mercadanti possano liberamente immettere
tutte sorti di mercanzia, bestiami et
altri…..”[6].
La concessione bastò a sopire ogni lite; il
periodo e la durata furono in tal modo,
definitivamente stabiliti. I signori feudali
continuarono nella “pacifica possessione”
degli antichi diritti dei quali faceva
unicamente eccezione, il pagamento delle
gabelle doganali, dei regi donativi e
segrezie.
Le occasioni del mercato erano motivo di
consistenti entrate economiche per il
principe, il quale esigeva, inoltre “ il
dritto del peso della seta, che si vende
nella fera per la Bilancia che adibisce per
il commodo dei mercadanti compratori….. e il
(dritto) sopra ogni genere che dalla Terra e
Territorio di Militello e casale e
territoria di S. Agata, in ogni tempo di
estrae”.
Nel secolo XVIII, la campagna era ricca di
biade, piantata a uliveti, gelseti e fornita
d’alveari.
Uniche importanti occasioni di scambio
erano, appunto, le fiere annuali, in cui
oltre i capi di bestiame, venivano immersi
nel mercato, i prodotti della terra,
formaggi, stoffe ed oggetti di uso domestico
e contadino, condotte a dorso di mulo,
ovvero, per mezzo di barconi mercantili.
Don Giuseppe Gallego Naselli., ultimo
detentore del titolo e della signoria di
Militello, al momento dell’abolizione della
feudalità, chiese ed ottenne, nell’aprile
1790, che i diritti sulla vendita della seta
e sull’astrazione dei prodotti del feudo in
tempo di fiera, concessi alla sua famiglia
fin dal 1651.
Nella fascia collinare e montana si diffuse,
sempre di più, la pratica della pastorizia,
per il degrado del paesaggio agrario. I
terreni degradati, costituivano le ampie
aree di pascolo che consentirono una gran
diffusione dell’allevamento bovino ed ovino.
La maggiore richiesta della popolazione
rurale, fece in modo che si accrescesse
l’antica funzione della fiera di
compravendita del bestiame; divenne,
inoltre, sempre più cospicuo il mercato dei
generi di consumo.
La fiera di S.Agata, divenne, dalla seconda
metà del secolo scorso, uno dei più
importanti luoghi d’affari, allargando il
proprio raggio d’azione ad una clientela che
abbracciava l’intero Valdemone (una delle
tre arre in cui era suddivisa la Sicilia, in
quegli anni). Specialmente il commercio al
minuto, trovò un’ampia espansione, per la
più rapida diffusione di uomini e merci.
A S.Agata funzionavano i servizi di posta ed
il telegrafo, mentre erano attivi osterie e
fondaci, costituenti un’infrastruttura
essenziale per favorire la mobilità di merci
e compratori. Nel 1895, giungeva, inoltre,
il primo treno nel nuovo, importante scalo
ferroviario.
Per quanto la realtà dell’immigrazione
contrassegnasse il periodo a cavallo tra i
due secoli, una crescita demografica fu alla
base di un consistente sviluppo della
cittadina. La fiera divenne il momento
distintivo dell’attività economica di
S.Agata.
L’Amministrazione Comunale, promosse agli
inizi del secolo passato, una seconda
edizione dell’importante mercato, sulla base
delle norme di nuove leggi che ne regolavano
la materia, da effettuare nei giorni 14 e 15
aprile. La nuova e l’antica fiera,
rappresentarono così la prima e l’ultima
occasione di raduno del circondario. Un gran
numero di persone, veniva ad essere
richiamate giacché i due momenti, erano i
più opportuni per l’approvvigionamento e il
rifornimento invernale, ovvero per
l’immissione nei circuiti fieristici del
nuovo ciclo annuale.
[1] Appunti tratti da uno studio del Prof.
Salvatore Mangione.
[2] Lo Castro N. (supplemento al N°6, anno
II) La fiera storica di S.Agata, in
“PALEOKASTRO” , rivista trimestrale di studi
sul Valdemone.
[3] Vedi nota 2 a pag. 8.
[4] Idem.
[5] Anche per il testo in corsivo qui
riportato, cfr. nota 2 di pag. 8.
[6] Cfr. nota 2 a pag. 8.